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Famiglia, teatro del mondo

Riproponiamo qui l'articolo di Claudio Magris sul Corriere della Sera di giorni fa in occasione dell'incontro mondiale delle famiglie a Milano, voluto dal pontefice Benedetto XVI.

Le grandi religioni universali, e soprattutto il Cristianesimo, non sono cosa da family day. Cristo è
venuto a cambiare la vita degli uomini e a proclamare valori più alti dell'immediata cerchia degli
affetti, anzi a sferzare duramente questi ultimi quando essi regressivamente si oppongono a un
amore più grande. Perfino il legame più forte, quello tra il figlio e la madre, è trattato bruscamente
quando Maria vuole interferire: «Donna, che c'è tra me e te?» le dice. Quando, mentre sta parlando
a una folla, gli vengono a dire che sua madre e i suoi fratelli lo stanno cercando, Cristo replica: «Chi
è mia madre? E chi sono i miei fratelli?», aggiungendo che è suo fratello chi fa la volontà del Padre.
Se c'è conflitto tra il rapporto di parentela e il comandamento, la scelta è chiara: egli afferma di
essere venuto a separare, ove sia necessario, «il figlio dal padre, la figlia dalla madre». La sua stessa
nascita, del resto, scandalosa rispetto alle regole, non rientra certo nel modello dall'ordine famigliare.
Naturalmente Cristo non intende negare l'amore fra e per gli sposi, i figli, i fratelli, i genitori. Vuole
potenziarlo, liberarlo dalla sua così frequente degenerazione egoistica, benpensante e riduttiva che
immiserisce quei legami universali-umani in una chiusura pavida e arida, sbarrando la porta alla
vita e agli altri, trincerandosi in un piccolo mondo pulito e perbene ma indifferente alla miseria e
alla sofferenza, che magari iniziano fuori della porta sbarrata. C'è una colorita espressione veneta
che raffigura questa falsa e piccina armonia famigliare basata sul rifiuto degli altri: «far casetta».
«Tengo famiglia» è la scusa migliore per tirarsi indietro dinanzi a un dovere che ci chiama a
metterci a rischio. A questo proposito, Noventa — grande poeta cattolico, uno dei grandi poeti del
Novecento — replicava nel suo dialetto veneto a chi piega vilmente la testa («son vigliaco»)
accampando i vecchi genitori, la moglie ancor giovane e i figli da mantenere: «Copé la mare, / Copé
el pare, /La mugier zóvene / e i fioi — (…) No' saré più vigliachi». La famiglia è certo una realtà
storica, anche se di particolare durata, e come tale soggetta a trasformazioni e a mutamenti, mai così
intensamente e confusamente come oggi, in un groviglio di liberazioni ora giuste ora
pacchianamente ideologiche e stupide, conformismi travestiti da trasgressione o da sacri principi,
esibizionismi supponenti, in un sommovimento di secolari tradizioni, costumi, valori, forme di
aggregazione familiare. La famiglia è stata e difficilmente potrà cessare di essere una cellula
primaria dell'universale umano; il Teatro del Mondo in cui l'individuo viene al mondo, le cui voci
gli sono giunte già quando era ancora nella prima stazione del suo viaggio, nel ventre della madre;
in cui l'individuo scopre il mondo, fa l'esperienza fondante dell'amore o devastante del disamore,
impara con i fratelli il gioco, l'avventura, la lotta, l'ambivalenza di affetto e rivalità; in cui il padre e
la madre gli trasmettono non solo la vita ma anche il suo senso. Non sbagliava Francesco
Ferdinando, l'erede al trono absburgico ucciso a Sarajevo, quando volle che sulla sua tomba
venissero incise solo tre date: della nascita, del matrimonio e della morte.
La famiglia può essere l'incantevole scenario della scoperta del mondo, come in Guerra e pace di
Tolstoj, e può essere tragedia e abiezione, odio e violenza, Caino e Abele, gli Atridi e la stirpe di
Edipo. Può essere luogo di opaca estraneità, di meschini risentimenti, di violenza e di oppressione;
violenza di padri o di mariti padroni su figli e su mogli, sordida rivalsa femminile di soffocanti
tirannidi domestiche, incombenti clan parentali che hanno trapiantato la tribù nella civitas e
risucchiano l'individuo, come scriveva Kafka, nella pappa informe delle origini. Già la parola
famiglia è un Giano bifronte: indica il mondo che ci è più caro e può indicare il bestiale legame
mafioso. Gide poteva dire: «Famiglie, quanto vi odio». Le nuove forme di famiglia radicalmente
diverse da quella tradizionale, che si annunciano pure sbracciandosi con enfasi, possono portare
valori o disvalori ma non sono certo al riparo dalle degenerazioni della convivenza.
La liberazione dell'uomo — il senso del Cristianesimo — non può non liberare pure la famiglia;
anche da se stessa, se occorre. E allora la famiglia può diventare veramente un Teatro del Mondo e
dell'universale-umano: quando, giocando con i propri fratelli e amandoli, facciamo il primo
fondamentale passo verso una fraternità più grande, che senza la famiglia non avremmo imparato a
sentire così vivamente; quando i genitori ci fanno capire concretamente che cosa significa essere
portati per mano nella giungla del mondo, da una mano che continua a sorreggere anche quando
non la si stringe più fisicamente. In una famiglia libera e aperta anche l'Eros trova la sua avventura
più grande, misteriosa e conturbante; mangiare in pace il proprio pane con la donna amata in
giovinezza, come dice un passo biblico spesso citato da Saba, è esperienza di grandi amanti. E i
figli, in un universo di rapporti liberati da familismo (ansioso, autoritario, debole, ossessivo, a
seconda dei casi) diventano realmente la passione più grande che la vita ci fa conoscere. La civiltà
greca ci ha dato Edipo e gli Atridi, ma anche Ettore che, senza preoccuparsi della propria morte,
sulle mura di Troia assediata gioca con suo figlio Astianatte e il suo desiderio più grande è che
questi cresca migliore e più forte di lui.

Data di pubblicazione
06/06/2012
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Pubblicato il: Mercoledì, 06 Giugno 2012 - Ultima modifica: Giovedì, 08 Marzo 2018

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