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Il diritto del padre al congedo anche se la madre è casalinga

Il giudice: la donna è una lavoratrice non dipendente. Il caso dei permessi negati ad un poliziotto. Condannato il ministero.

Il giudice parte da un principio troppo spesso ignorato: quello della casalinga è un lavoro. La donna che si prende cura della casa e dei figli è, secondo la definizione giuridica, una <<lavoratrice non dipendente>>. E siccome proprio perché non dipendente non ha diritto ad alcun permesso per la cura del neonato, allora è a lui che <<occorre fare riferimento nelle norme rivolte a dare sostegno alla famiglia e alla maternità>>.
Il <<lui>> di questa storia è un poliziotto della questura di Venezia, un dipendente del settore amministrativo. Dopo la nascita di una figlia con problemi di salute molto seri (ha un grave handicap), l’agente aveva chiesto di poter utilizzare sia i riposi giornalieri sia i periodi di congedo per la malattia della bambina, possibilità previste nei primi anni di crescita, come aiuto alle famiglie, dal Testo unico dell’Interno, dal quale dipende la polizia si Stato, gli aveva però negato tutte e due le chance: la moglie e madre della piccola, avevano obiettato gli avvocati del ministero, è una casalinga quindi lui non ha il diritto di avere né permessi né congedo, non si può sottrarre al suo lavoro ore o giorni interi per accudire la bimba di cui si prende già cura la moglie.
Ricorso. Il caso è finito nelle mani della consigliera di parità della Provincia di Venezia, Federica Vedova, e poi sul tavolo del giudice del lavoro Margherita Bortolaso. Il risultato è scritto nelle cinque pagine della sentenza depositata pochi giorni fa: il ricorso è stato accolto perché non concedere i permessi e il congedo al poliziotto è stato un atto <<illegittimo>>. Il padre della bambina malata aveva invece il diritto di ottenere ciò che chiedeva: per stare accanto alla piccola nei momenti più difficili della malattia durante i suoi primi anni di vita, certo. Ma anche per aiutare la moglie nella gestione quotidiana delle cure alla neonata, indipendentemente dell’handicap della piccola.
Scrive il giudice del lavoro: <<L’illegittimità del diniego opposto dell’Amministrazione (il ministero dell’Interno, ndr) alla fruizione dei benefici richiesti ha comportato una evidente discriminazione a danno del poliziotto rispetto alla generalità dei lavoratori padri che si trovano nelle sue stesse condizioni>>. Tutto questo è una nota ancora più stonata se si considera il fatto che <<altre amministrazioni pubbliche e datori di lavoro privati riconoscono pacificamente il diritto>>.
Dopo aver specificato che, in generale, un padre deve poter <<beneficiare dei permessi della cura del figlio, allorquando la madre non ne abbia il diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato>>, il giudice ripara al torto subito dall’agente condannato il ministero dell’Interno a <<pagare al lavoratore discriminato un importo pari ai numeri dei permessi e alle giornate di congedo negate>>: 9.750 euro.
E per sottolineare quanto sia fondamentale <<il sostegno a famiglia e maternità>> la sentenza cita le <<finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’articolo 31 della Costituzione>>. Quello secondo il quale <<la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. E protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a questo scopo>>.
Fra gli <<istituti>> ai quali la dottoressa Bortolaso si riferisce ci sono i diritti di un padre ad avere il tempo che spetta per prendersi cura di sua figlia. Anche se la moglie è casalinga e, nell’immaginario di ancora tante, troppe persone, è una <<non lavoratrice>>. Sbagliato, ripete più volte questa sentenza: è una <<lavoratrice non dipendente>>.

Fonte: Corriere della Sera

Data di pubblicazione
15/02/2012
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Pubblicato il: Mercoledì, 15 Febbraio 2012 - Ultima modifica: Giovedì, 08 Marzo 2018

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