

Dal 2000 al 2012 il gioco d’azzardo legale (Gratta e vinci, slot machine, Totocalcio, lotterie, ecc.) è passato da 14 a 88 miliardi di euro di raccolta all’anno. Almeno altri 15 miliardi rientrano nel giro illegale gestito dalle ma fie. Siamo i primi in Europa e al terzo posto nel mondo, con un numero pro capite di macchine da gioco di ultima generazione (le Vlt) triplo rispetto a quello degli Stati Uniti. Spesa media, contando solo i maggiorenni, di oltre 1700 euro l’anno. Cifre incredibili, una vera emergenza nazionale. Cosa raccontano le strade dell’Italia del 2013 al tempo della più volte profetizzata scomparsa della classe media? Negozi d’alimentari che scompaiono sotto la pressione dei centri commerciali per cedere il posto a negozi di “compro oro” o sale per il gioco d’azzardo. Bar che diventano piccole bische accanto alla vetrina della finanziaria che promette tassi di interesse vantaggiosi sui prestiti.
Segni di un disperato bisogno di soldi che toglie il respiro. Una parte crescente della popolazione vive come espatriata e senza legami di protezione, per cui, come i profughi che scappano con l’oro cucito nei vestiti, usano l’estrema risorsa aurea che hanno in casa per le spese ordinarie. Ma senza una ripresa effettiva, la cosa non può durare e davanti a tante porte che si chiudono o alle quali non si bussa per vergogna, resta il tentativo estremo di tentare la fortuna. Sfidare il destino appartiene alla condizione umana ma la deriva patologica è dietro l’angolo. Riccardo Bonacina, direttore di Vita, cita Baudelaire per definire l’azzardo come un idolo dove chi comanda è il gioco. Tanti ex giocatori compulsivi sono ancora increduli quando raccontano la loro storia. Per descrivere il fenomeno, il ministero della Salute cita alcuni studi che descrivono «una condizione molto seria che può arrivare a distruggere la vita». Questa «patologia da dipendenza a più rapida crescita tra i giovani e gli adulti» interessa, secondo le stime, «tra il 2 e il 4 per cento della popolazione». In effetti, il numero esatto non si conosce, ma se si prende il valore medio di un milione e mezzo di persone e lo si moltiplica per i nuclei familiari interessati, si possono percepire le dimensioni preoccupanti del problema di salute pubblica.
La cura è molto complessa perché può richiedere «la psicoterapia, la terapia farmacologica e il ricorso a gruppi di auto-aiuto». Insomma, non basta un antidepressivo e solo con il decreto Balduzzi del 2012, vincendo fortissime resistenze, la sindrome del gioco d’azzardo patologico è rientrata in quei livelli essenziali di assistenza (Lea) che fanno rientrare le relative «prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione» nei compiti di un Servizio sanitario nazionale che non ha tuttavia finanziamenti adeguati mentre il costo sociale complessivoè pari a 6 miliardi di euro.
Da che parte sta la legge?
Davanti a tale scenario, se un gruppo di abitanti, come è avvenuto a Roma, occupa lo storico cinema Palazzo per evitare che si trasformi in un tempio delle slot machine, la legge dello Stato tutela l’impresa che ha avuto la concessione del gioco d’azzardo in base ad una serie di normative votate con larga maggioranza parlamentare. Nessun politico serio lo può ignorare. Matteo Iori, presidente del Conagga
(Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo), in una conferenza al Senato avvenuta poco prima delle recenti elezioni politiche, ha messo in fila tutti i provvedimenti incentivanti la diffusione legalizzata dei giochi d’azzardo senza soluzione di continuità dai governi di centro sinistra del 97 a quelli successivi di centro destra. L’operazione ha una sua scienti ficità, perché i sindaci hanno le mani legate. Non possono impedire o vincolare l’apertura delle sale, far rispettare le distanze di sicurezza da luoghi sensibili e definire gli orari di esercizi che restano, nei fatti, aperti senza pausa 24 ore su 24, anche nei giorni festivi. Per questo motivo molti sindaci hanno costituito una rete con Legautonomie che preme per cambiare la normativa nazionale con una proposta di legge popolare. A Pavia, uno dei luoghi più esposti dove, su questo campo, lavora da anni Simone Feder della Casa del giovane, il sindaco e il vescovo sono scesi in piazza in manifestazioni che assomigliano alle processioni contro una nuova peste. Ma i grandi azionisti dei concessionari delle società dell’azzardo riuniti in Confindustria non ci stanno a passare da nuovi untori e citano una ricerca del Censis che smentirebbe il rapporto tra offerta legale e diffusione della patologia, anche perché il numero dei giocatori sarebbe lo stesso degli anni Ottanta, quando in Italia erano già presenti «800 mila congegni simil-videopoker piazzati ovunque».
Le società collegate ai grandi concessionari ci tengono a definirsi un’«industria produttiva, virtuosa, utile ai territori e alle cittadinanze» esanno di essere una delle prime attività economiche del Paese con fatturati crescenti, quasi seimila imprese con oltre 120 mila dipendenti, che permettono allo Stato di raccogliere dalle giocate d’azzardo un gruzzolo di oltre 8 miliardi di euro. È senza senso, affermano, prendersela contro di noi che siamo solo gli esecutori di un sistema statale che trova i soldi in questo modo perché non può «raccontare agli italiani che la previdenza è al collasso, che la Pubblica amministrazione non può pagare le forniture, che i comuni dovranno erogare i servizi locali con risorse sempre più esigue». Queste società redigono bilanci sociali e fanno bene ficienza, si paragonano «alla serva bastonata mentre consente ancora un pasto caldo al padrone (lo Stato)» ma non vengono dalla Luna; esprimono storie riconoscibili del capitalismo italico come si può vedere nel caso emblematico di Lottomatica controllata, accanto a quote di minoranza di Generali e Mediobanca, dal gruppo DeAgostini, noto per l’attività editoriale ma proprietario, con maggioranza assoluta, della Gtech che si può autodefinire «il più grande player mondiale nel settore lotteries, gaming, uno dei principali fornitori mondiali di soluzioni tecnologiche incluso l’online».
provocando il ricorso all’usura, grandi sofferenze personali e familiari (divorzi e separazioni), senza ostacolare, di fatto, «l’infiltrazione mafiosa ben presente nel business legale». La sproporzione tra il volume d’affari crescente del settore e le entrate fiscali è evidente (cfr. gra fico). Consigliata la lettura del dossier Azzardopoli di Libera curato da Daniele Poto. Lottomatica e altre nove concessionarie sono al centro di un contenzioso amministrativo perché accusate di aver messo in funzione migliaia di macchinette senza collegarle al sistema informatico dei Monopoli di Stato che permette il prelievo fiscale sulle giocate. Umberto Rapetto, il colonnello della Guardia di Finanza che ha condotto le indagini, dopo aver accertato il danno e applicato la sanzione di 98 miliardi di euro, si è detto “costretto” a congedarsi in anticipo.
La Corte di Conti, alla fine, ha ridotto l’ammontare della cifra a 2 miliardi e mezzo di euro, ma il governo Letta ha aperto la possibilità di accedere ad un condono per una cifra omplessiva di 600 milioni di euro; eppure le società coinvolte (oltre Lottomatica, Atlantis World, Cogetech, Snai, HbgGroup, Cirsa, Codere, Sisal, Gmatica, Gamenet) sono propense a rifiutare perché convinte di poter vincere in appello. Come afferma Rapetto, anche i concessionari sono soggetti liberi e adulti che dovrebbero pagare i danni di un contratto non onorato. È da ricordare che Atlantis, oggi “BPlus gioco legale”, è stata al centro di un’indagine della magistratura che ha coinvolto politici e banchieri.
Tratto da Città Nuova - n. 19 - 2013 - Primo Piano - Cittadinanza di Carlo Cefaloni.
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