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Un welfare inclusivo

L'intervento dell'assessore provinciale alla salute e alla politiche sociali, Ugo Rossi, agli Stati generali del welfare trentino. E gli interventi di Antonio Schizzerotto, di Kai Leichsenring, di Emanuele Ranci Ortigosa e le conclusione del presidente Lorenzo Dellai.

Ugo Rossi, assessore alla salute e politiche sociali.

"Quello che abbiamo iniziato è un percorso che toccherà tutte le caratteristiche del nostro modo di essere: sono questi gli stati generali dell'Autonomia. Lo facciamo partendo da un settore, quello del welfare, che rappresenta uno dei tratti distintivi della nostra società. Poter decidere come allocare le nostre risorse ed indicare i campi di intervento, è una grande responsabilità. Però non possiamo chiamarci fuori dal contesto: la crisi finanziaria ci pone davanti a scelte precise e noi non possiamo sottrarci a questa sfida". Con queste parole Ugo Rossi, assessore alla salute e alle politiche sociali della Provincia autonoma di Trento ha aperto oggi, alla sala della Cooperazione, "Gli stati generali del welfare trentino: quali prospettive e quali cambiamenti possibili?". Una operazione ascolto, in un Trentino dinamico che su questo terreno è stato comunque capace di mettere in campo molte politiche: così gli stati generali sono stati definiti nella presentazione, con una citazione letteraria dall'"Oliver Twist" di Charles Dickens.

"Il contesto in cui troviamo ad operare - ha aggiunto Rossi - è molto cambiato in questi anni. Basti un dato: nel 2007 il Fondo nazionale per le politiche sociali era di 745 milioni di euro, l'anno scorso è stato di 274 milioni, questi sono i tagli apportati dai governi nazionali. Poi c'è stata la riforma pensionistica, fatta nel giro di poche settimane, ma la sfida è l'invecchiamento della popolazione: in Trentino nel 1981 c'erano 11 mila persone con più di 80 anni di età, oggi sono 30 mila e le stime ci dicono che diventeranno oltre 50 mila nel 2030. Viviamo di più, ma è chiaro che le cronicità ci accompagnano per un periodo assai più lungo della nostra vita. Si lavora in modo discontinuo, non ci sono coperture pensionistiche, abbiamo anche un modello familiare in crisi, le difficoltà nelle genitorialita sono gravi e lo stesso disagio ha cambiato i suoi connotati: basti pensare al gioco d'azzardo. La crisi ha cambiato il contesto in cui viviamo e sono nate nuove povertà. In questo quadro altre indicazioni, ad esempio sull'immigrazione: oggi i nuovi trentini sono il 10 per cento della popolazione, erano meno dell'1 per cento nel 1992".
A fronte di questo quadro, Rossi ha così continuato: "Il Trentino oggi mette in campo 268 euro, contro i 107 della media italiana, nella spesa pro capite in politiche sociali. La Provincia dovrà sempre più garantire reti di protezione, mentre toccherà alle Comunità, al territorio, al privato sociale e al volontariato essere chiamati a realizzare le risposte personalizzate al bisogno. Diverse sono le sfide: assegno di cura, ammortizzatori del lavoro - ricordo che con l'accordo di Milano possiamo sperimentare e sostenere ingresso e uscita dal lavoro -, sostegno alla natalità (e lo abbiamo fatto con legge apposita), frontiera della politiche della casa con una attenzione particolare nel far sì che all'abitazione possano accedere in particolare i giovani. Infine le politiche assistenziali, dove accanto al reddito di garanzia abbiamo voluto affidare responsabilità al territorio assegnando alle Comunità la competenza diretta. Già in questo 2012 avremo per la prima volta i piani sociali della Comunità, elaborati sul territorio con tutti i soggetti".
Quello a cui si punta, ha concluso Rossi, è dunque "un welfare inclusivo, capace di assegnare il giusto valore al capitale sociale, con attenzione alla solidarietà ed attenzione al merito. Chiediamo a tutti gli attori - qui oggi protagonisti con noi di questo importante momento - di aiutarci a trovare le criticità, per poi predisporre le nuove regole sull'accreditamento e l'affidamento dei servizi che attueranno la legge 13. Dobbiamo lavorare per definire le priorità sul riparto del Fondo socio assistenziale che ammonta a circa 88 milioni di euro. Abbiamo cercato di tarare maggiormente i bisogni sui territori nel ripartire le risorse, è un processo difficile che si accompagna con l'informatizzazione del sistema. Dobbiamo arrivare a definire costi standard: il dibattito non è facile neppure a livello nazionale, ma dobbiamo arrivarci per raggiungere una programmazione di maggiore efficacia. In questo 2012 dovremo affrontare anche il tema della compartecipazione, oggi la media è del 9 per cento, dobbiamo garantire che il welfare di oggi resista anche domani, abbiamo tutti gli strumenti per farlo (a partire dall'Icef) e dobbiamo garantire maggiore equità e sostenibilità. Quindi l'impegno è quello di lavorare assieme in una logica di corresponsabilità, già sperimentata con i piani di Comunità. Questo è il cammino che stiamo facendo. Oggi è il momento di una riflessione comune".
Una curiosità: nel presentare i lavori degli stati generali del welfare è toccato a Giampaolo Pedrotti, capo ufficio stampa della Provincia, ricordare l'origine storica del termine welfare che gli esperti fanno risalire all'arcivescovo William Temple (1941) anche se le origini delle sistematiche attenzione dello Stato al benessere dei propri cittadini affondano nel 1883 quando Bismarck fece approvare la legge per le assicurazioni contro le malattie, seguita pochi anni dopo dalla legge contro gli infortuni e dalla legge per l'assicurazione su vecchiaia e invaliditá.

Antonio Schizzerotto, prorettore alla ricerca della facoltà di Sociologia dell'Università di Trento.

"Tra i punti di forza del welfare trentino, il maggiore è costituito dal suo impianto. È riuscito a limitare i malfunzionamenti del mercato e a scaricare la famiglia da compiti impropri, per consentirle di svolgere le funzioni che le sono proprie. Il sistema di welfare trentino è diventato di stampo universalistico, capace di riconoscere una gamma universale di servizi e dunque di offrire anche elevati criteri di equità e buone capacità redistributive. In questo senso è un unicum in Italia". Così Antonio Schizzerotto, ProRettore alla ricerca della facoltà di Sociologia - Università di Trento ha aperto il suo intervento - il quarto oggi in programma - agli stati generali del welfare trentino in corso alla sala della Cooperazione di Trento. Dunque "un welfare universalistico diretto principalmente all’individuo, queste sono le caratteristiche del welfare trentino".

Nel suo intervento Schizzerotto ha scelto tre ambiti per mettere in luce questi aspetti universalistici ed equitativi del welfare trentino.
1. Politiche istruzione. "Ricordo trasporto, corsi di formazione, servizi di orientamento, stage all’estero: tutte queste misure hanno fatto crescere scolarizzazione superiore e universitaria nell’arco degli ultimi dieci anni. Oggi i trentini sono al di sopra della media nazionale anche grazie a questo perché si è tradotto in una crescita del grado di meritocrazia e del peso dell’istruzione nell'assegnare i destini lavorativi delle persone".
2. Sfera lavorativa. "In questo ambito la Provincia autonoma di Trento ha posto in essere (caso più unico che raro in Italia) una massa cospicua di politiche attive del lavoro (corsi di qualificazione), innovativo veicolo di attuazione di servizi per l’impiego. Con l'Agenzia del lavoro è stato messo in campo un esperimento di integrare politiche attive e politiche passive del lavoro nonché indennità standard con corsi di aggiornamento".
3. Assistenza. "Ci sono circa 50 interventi nelle politiche assistenziali ed una in particolare vorrei riprendere, perché emblematica di assistenza: il reddito di garanzia. È l’unica misura contro la povertà, esempio unico nel nostro paese. E' la dimostrazione palese del carattere inclusivo ed equitativo del sistema di welfare trentino. Nel 2011 risultavano poveri il 4,6% dei trentini contro una media nazionale di oltre il 12%".
Schizzerotto ha concluso indicando problematiche e limiti del welfare trentino ("le misure dovrebbero essere temporane e spingere gli individui a diventare autonomi, in Trentino non ci sono grandi stimoli in tal senso ed inoltre non si evitano fenomeni di opportunismo nelle politiche di welfare") e i margini di miglioramento, che ci sono: "Per il futuro io ritengo che il Trentino debba cercare di promuovere a livello nazionale la sperimentazione di alcune riforme che si sono qui attuate, ovvero va diffuso a livello nazionale il carattere di sperimentazione che il Trentino ha assunto".

Kai Leichsenring, esperto austriaco, Università di Vienna.
E' di Kai Leichsenring, esperto austriaco dell'European Centre for Social Welfare Policy and Research di Vienna il secondo intervento - dopo quello dell'assessore Ugo Rossi - agli stati generali del welfare trentino in corso alla sala della Cooperazione di Trento. Il welfare - ha detto - si decide nel contesto locale. Dobbiamo creare un welfare che sia capace di essere orientato alle fasi diverse della vita, per evitare le emergenze e per evitare che le famiglie debbano inventarsi le soluzioni, come è successo con le badanti per quel che riguarda l'assistenza alle persone anziane. L'integrazione socio-sanitaria ha bisogno di nuovi modelli organizzativi che siano vicini all’utente, dove il nucleo familiare è una risorsa da sostenere e dove ci sia innovazione professionale".

In precedenza Leichsenring aveva delineato un quadro comunitario del welfare. L'Europa - ha detto - ha promosso un modello basato sul lavoro, sulla crescita. Lisbona fissava come target per il 2010 un tasso di partecipazione al lavoro al 70%, per le donne almeno il 60% e per lavoratori anziani almeno il 50% con una crescita annuale del 3%. Questo non ha funzionato del tutto, è arrivata la crisi e bisognava cambiare i target, ma non è stato fatto: perché è rimasto come indicatore il tasso di partecipazione al lavoro anche se è stato un ridotto di poco e nazionalizzato, cioè ogni paese può cambiarlo, mentre un altro obiettivo è quello di ridurre il numero di cittadini a rischio povertà. Per Italia si tratta così di raggiungere il 67-69% di cittadini occupati e di ridurre i 2.200.000 cittadini a rischio povertà.
"La spesa sociale - ha aggiunto - è aumentata in tutti i paesi, anche durante la crisi, quindi il welfare State funziona. Certo, non c’è un modello europeo ma ci sono svariati modelli, la flexicurity (flessibilità unita alla sicurezza dal punto di vista lavorativo) è stata implementata solo in alcuni paesi, ad esempio la Danimarca, dove il welfare è già sviluppato, i target non sono stati raggiunti neanche prima della crisi, i nuovi target sono un po’ meno ambiziosi ma sempre focalizzati su crescita e aumento dell’occupazione. Va però detto che il settore socio-sanitario è uno dei pochi settori che negli ultimi dieci anni ha contributo in maniera superiore alla media all’aumento del tasso di occupazione. Questo dunque è anche un settore che può creare lavoro. Peraltro l'aspettativa di vita è cresciuta sempre di più negli ultimi trent’anni ed è cresciuto quindi anche il periodo pensionistico".
Infine un accenno alla "sussidiarietà alla rovescia" e le sue conseguenze. "Abbiamo una generazione sandwich - ha concluso l'esperto austriaco - che si trova tra la cura prestata ai bambini e l'assistenza agli anziani nel mentre è in atto una crisi della famiglia, con pressione sociale e mancanza di servizi. Quindi assistiamo alla globalizzazione della cura e dell’economia domestica. A questo proposito ecco che le badanti possono essere definite una nuova invenzione della “società civile”, forse una soluzione con una data di scadenza. Dunque pressioni che arrivano sull’individuo e sulla famiglia. La sfida è quella di arrivare ad un'Europa, nel 2020, capace di introdurre innovazioni sociali. In questa direzione va il fatto che questo sia l'anno dedicato all'invecchiamento attivo e sano: fatto di attività, progetti, ricerca, prevenzione". (at)

Emanuele Ranci Ortigosa, direttore scientifico dell'IRS, Emanuele Ranci Ortigosa.
"Il Trentino è una delle realtà che si stanno muovendo in modo più positivo riguardo alla sfida del welfare e quindi può essere elemento di stimolo per l’intero paese". Così Emanuele Ranci Ortigosa, direttore scientifico dell'IRS, l'Istituto per la Ricerca Sociale e direttore di "Prospettive Sociali e Sanitarie" ha chiuso il suo intervento - il terzo oggi in programma - agli stati generali del welfare trentino in corso alla sala della Cooperazione di Trento.

Il welfare - ha esordito Ranci Ortigosa - ha due dimensioni: "I diritti di cittadinanza che si sono venuti affermando negli anni e i livelli di assistenza, livelli che vanno comunque assicurati. Welfare non vuol dire limitarsi a tutelare questi requisiti essenziali, ma è un concetto più ampio che riguarda la tenuta sociale, riguarda la società nel suo insieme, riguarda anche le politiche di prevenzione. In Italia non c’è nessuna riforma sul welfare, c’è la legge 328 del 2000 (Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) che ha avviato un percorso di riforma che è quella della programmazione locale dei servizi. L'Italia è toccata da molte trasformazioni: minor natalità, più anziani, famiglie più piccole e meno stabili, parecchie famiglie con un solo genitore, crescente presenza di immigrati, poca occupazione femminile e giovanile, una profonda divisione anche in questo fra nord e sud. In più l'Italia subisce accelerazioni notevoli: il fenomeno dell’immigrazione è stato molto più veloce rispetto agli altri paesi, così per l’invecchiamento, il che apporta ulteriori difficoltà".
Altri dati forniti dal direttore dell'IRS: "L'incidenza della povertà relativa in Italia è all'11%, mentre la povertà assoluta è tra il 4,1 e il 4,6% perché i redditi non sono cresciuti e dunque abbiamo un impoverimento crescente. Abbiamo anche un indice crescente di famiglie con una persona sola che lavora, il 10%, mentre gli altri sono al 6%. Inoltre particolarmente accentuato nel nostro paese è anche l’elemento della diseguaglianza che permane anche fra le famiglie. E negli anni ’90 la nostra diseguaglianza si è andata accentuando fra i paesi Ocse e non si è ridotta. E a tutto questo le risposte delle nostre politiche sono particolarmente inadeguate. Abbiamo un sistema che non è mai stati riformato che non ha un approccio universalistico alla situazione. L’impatto della spesa sociale sulle povertà è molto basso, attorno al 20%, perché ci sono tante misure frammentate e la spesa non è elevata, gli altri paesi riescono ad incidere molto di più. Anche per i servizi agli anziani l’Italia, rispetto agli altri Paesi, è molto carente e il 47,8% sono ancora pagati dalle famiglie. Così il paradosso è che il nostro welfare non è familiare, ma scarica gli oneri sulle famiglie. La spesa per la protezione sociale diminuisce in rapporto al Pil mentre va detto che in Trentino la spesa sociale pro capite è fra le più elevate del nostro paese".
Dunque, se il welfare in Italia è un settore critico e marginale, che fare? Così ha concluso il suo intervento Emanuele Ranci Ortigosa: "Abbiamo poche risorse e spese male. Dunque il primo problema è quello di rendere più efficace il nostro intervento. La spesa per assistenza sociale nel 2010 ammonta a quasi 62 miliardi di euro, il 4% del pil, ma è frammentata. Bisogna invece analizzare il bisogno per capire di cosa c’è effettivamente bisogno, per fare questo dobbiamo decentrare le risorse per avvicinarci al bisogno, dobbiamo decentrare funzioni e risorse sul territorio e ottimizzare il sistema istituzionale di governo delle politiche sociali perché il territorio deve essere preparato a gestirle, quindi fare un federalismo del welfare, che è quello che dice la costituzione, ovvero assegnarli ai territori e non gestirli come Stato, come fate qui che li assegnate alle Comunità, perché i Comuni sono troppo piccoli per gestirli. Come dimenticare poi che in Italia il 34% degli assegni familiari e il 24% delle pensioni e degli assegni sociali vanno a famiglie con redditi medi e addirittura alle famiglie ricche? Questo non è accettabile, bisogna chiedere una compartecipazione al reddito per le famiglie che possono permetterselo. Per contrastare la povertà bisogno introdurre un reddito minimo di attivazione, che sia una politica non solo di sostegno ma appunto di attivazione, di inserimento. Questo si può fare a costo zero riorganizzando le risorse, salvo per la non autosufficienza che nel tempo richiederà risorse aggiuntive. Ecco quindi una proposta di riforma che punti ad ottimizzare e integrare il sistema dei servizi pubblici e privati sul territorio, garantisca diritti e livelli di servizio, contribuisca allo sviluppo visto che il welfare è anche opportunità di crescita".

L'intervento conclusivo del presidente Lorenzo Dellai.

Gli stati generali del welfare trentino, che si sono tenuti lunedì 12 marzo presso la sala della Cooperazione, hanno offerto una panoramica interessante sulle prospettive e i cambiamenti possibili di un ambito decisivo per la nostra società. A chiudere il confronto è stato il presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, con alcune riflessioni: "Attraverso gli stati generali abbiamo voluto rispondere in modo utile agli stimoli che avevano animato il dibattito le scorse settimane, per fare un ragionamento a 360 gradi. È stato messo sotto la lente di attenzione il nostro welfare, si sono messi in evidenza aspetti di forza e di debolezza. Io, come presidente di questa Comunità, sono orgoglioso che i punti di forza siano superiori a quelli di debolezza: il nostro è sempre stato un welfare misto, dove esiste una polarità fra pubblica amministrazione e privato organizzato ed è su questa dialettica che il welfare sta crescendo. Dunque welfare come strumento non solo di recupero sociale per chi è uscito dai circuiti di cittadinanza, ma per partecipare attivamente". "Ci sono elementi di debolezza - sono state le riflessioni del presidente Dellai - ed è su questi che lavoreremo, raccogliendo gli stimoli arrivati. Il punto di consapevolezza diffuso sul piano delle criticità è che siamo di fronte a uno scenario generale che non è quello di dieci anni fa. Oggi questo crea preoccupazione perché vengono messe in discussione le basi stesse di quel modello di welfare che abbiamo conosciuto alcuni anni fa. Ci dicono che noi trentini abbiamo un'impostazione scandinava, del nord Europa, dei paesi più spinti per universalità ed incisività del welfare, questo è certamente vero, ma il modello è in crisi. Questa deve essere dunque la prima consapevolezza: pensare alla sua sostenibilità. Due le gambe su cui si deve reggere: politiche di istruzione e formazione e politiche passive, integrate sul lavoro. La società sta producendo nuovi bisogni, vi è una crisi profonda, e proprio per questo diventano ancora più imprescindibili i due pilastri su cui deve poggiare il welfare: istruzione e inclusione nei processi lavorativi. Come Provincia autonoma di Trento, da un lato con la delega che abbiamo ottenuto grazie all'Accordo di Milano sull'Università, dall'altro con la titolarità quasi piena sulle politiche del lavoro, possiamo operare scelte fondamentali per una politica sul welfare. Una politica che lo indichi come dimensione trasversale di crescita e di coesione sociale. La scelta forte sulla formazione è per il reinserimento lavorativo, di inclusione sociale, come è il Progettone. Su questi due fronti noi ci siamo: istruzione e lavoro, per essere autonomi non in senso localistico, ma di aiuto al nostro Paese, affinché il Trentino sia sempre più laboratorio, modello di politiche innovative anche nel comparto del welfare".
Per dare continuità a questi stati generali - sono state le conclusioni del presidente Lorenzo Dellai - ci sono cinque parole da prendere a paradigma, su cui lavorare.
Valutazione. "Abbiamo bisogno di implementare e qualificare i metodi di valutazione del nostro welfare".
Formazione. "Abbiamo un welfare spinto che ha bisogno di attori sempre più preparati, sia di tutta la rete della pubblica amministrazione che di quelli della collettività".
Cultura. "Se non si rinforzano i valori civili della comunità non potremo evolvere, l'humus della società è fondamentale perché welfare è un modo di essere. Il Trentino è un luogo dove valori di civiltà, di solidarietà, di auto mutuo aiuto sono consolidati, ma esigono manutenzione. Non può farlo solo la pubblica amministrazione, ma è la società civile che si deve organizzare".
Innovazione. "E' il contrario di auto referenzialità. Sappiamo che è difficile, perché spesso è difficile cambiare, anche qui è una strada in salita, però il contesto nel quale viviamo non ci consente di innovare solo un settore, una parte. Dobbiamo invece smontare e rimontare. Se la sfida è innoviamoci tutti, noi pubblica amministrazione e voi società civile organizzata, allora questo è il risultato più importante di questi stati generali. C'è anche l'innovazione della pubblica amministrazione su cui fare leva ed altra strada è quella delle Comunità di valle che dovranno amministrare attraverso piani sociali pensati per il territorio e scritti dal basso, con con gli attori sociali di quel territorio".
Responsabilità. "Facciamo tesoro delle critiche, ci rendiamo conto che su tematiche così delicate il confronto non è mai sufficiente. Tuttavia prima di tutto serve la responsabilità dei cittadini, stiamo spingendo su questa assunzione di responsabilità del cittadino, delle parti sociali. Poi assunzione di responsabilità anche da parte della comunità, della collettività, visto che circa il 50 per cento delle nostre risorse passa per il terzo settore, per la rete del welfare. Noi non siamo un ente finanziatore, vogliamo essere partner degli attori sociali, sulla base di questo c'è una comune assunzione di responsabilità. Il ruolo del terzo settore è un valore per la collettività".

Data di pubblicazione
13/03/2012
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Pubblicato il: Martedì, 13 Marzo 2012 - Ultima modifica: Giovedì, 08 Marzo 2018

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